Un sondaggio di fine agosto del 2024 del Pew Research Center, condotto dopo un mese dal ritiro di Joe Biden dalla corsa alla presidenza in favore di Kamala Harris, ha evidenziato come i tre gruppi religiosi bianchi – evangelici protestanti, cattolici e protestanti non evangelici – fossero a favore di Trump: l’82% del voto evangelico protestante, il 61% dei cattolici, e il 58% dei non evangelici protestanti. Alle elezioni del 2024, in cui Trump è stato rieletto Presidente, il 59% dei cattolici ha dichiarato di aver votato per lui, mentre il 39% per Kamala Harris. Sono exit poll del Washington Post.
In questi dati è stato analizzato il fattore religioso insieme ad altri aspetti, alla luce del voto degli americani pro-Trump e pro-Harris. Numeri che sono stati messi a confronto con quelli pro-Trump e pro-Biden nel 2020: in quella tornata elettorale, il 47% dei cattolici votò per Trump, mentre il 52% per Biden, uno scarto di soli 5 punti ma a favore dell’ex Presidente Democratico (e cattolico).
I cattolici, includendo le varie confessioni, rappresentano circa il 21-22% dei votanti nel 2024, secondo l’analisi del Post, ma quello che succede nelle ultime elezioni di novembre scorso, tra Trump e Harris, ribalta completamente la situazione: Trump vince il voto cattolico di circa 20 punti percentuali su Harris ancora di più con il voto dei cristiani protestanti: 63% a favore dell’attuale Presidente, 36% per Harris.
Scaviamo ancora di più: secondo l’indagine del Public Religion Research Institute (PRRI) del dicembre 2024, il voto per affiliazione religiosa è stato molto netto a favore di Trump per i bianchi evangelici, 85%; per gli ispanici protestanti, 64%; per i cattolici bianchi, 59%; per i protestanti bianchi non evangelici, 57%; per i cattolici ispanici, 43%.
Gli altri gruppi religiosi, come gli ebrei, le confessioni religiose non cristiane e i protestanti di colore, hanno votato, sempre secondo il sondaggio di PRRI, in maggioranza per Kamala Harris. La candidata Democratica Harris è peraltro cresciuta tra queste confessioni ma non in quelle cristiano-cattoliche, vedremo come questo aspetto abbia fatto sentire il suo peso.
Tra gli interessanti quesiti rivolti agli intervistati nell’indagine del PRRI, ce n’è uno in particolare: “Dio ha decretato Trump come vincitore secondo la religione e il nazionalismo cristiano”. Per il 25% del totale dei votanti intervistati la risposta è sì. Ancora una volta i bianchi evangelici sono in netta maggioranza, concordi con un 60%, a cui segue il 45% degli ispanici protestanti e il 25% degli ispanici cattolici.
Demografia e nazionalismo cattolico repubblicano
Sono numeri da prendere con le pinze, ma che fanno riflettere, per almeno due ragioni: la prima ha a che fare con la demografia degli Stati Uniti, che ha visto crescere, in particolar modo, il numero degli ispanici negli ultimi dieci anni. La minoranza-maggioranza ispanica ha toccato nel 2025 il 20,2% della popolazione totale negli Stati Uniti.
I voti dei latinos a favore di Trump sono passati dal 32% delle elezioni 2020 al 46% quattro anni dopo, 2024. Una differenza molto significativa, e che ci viene fornita dai dati del consorzio National Election Pool Survey (NEP), costituito da ABC News, CBS News, CNN e NBC News. Il dato è riportato nel paper dell’Osservatorio Cervantes dell’università di Harvard (Observatory of the Spanish Language and Hispanic Cultures in the United States). Per molti anni gli ispanici sono stati considerati, a ragione, più vicini ai Democratici. Con una crescita demografica che li ha portati dal 2010 al 2024 da 50 milioni a 66,66 milioni, il Partito Democratico, storicamente vicino a questa comunità, ha scommesso che, dal 2016 in poi, un anno che ha portato molti neo maggiorenni ispanici per la prima volta al voto, i latinos potessero fare la differenza in loro favore.
In effetti questo è avvenuto: nel 2016, alle elezioni presidenziali di novembre, i latinos registrati al voto che hanno dichiarato di votare per la Hillary Clinton, sono stati il 58%, ma la candidata è stata sconfitta da Donald Trump (come noto, per la meccanica del Collegio Elettorale, pur avendo totalizzato quasi tre milioni in più di voti a livello nazionale). La rimonta su questo gruppo elettorale, da parte dei Repubblicani, inizia anche da questa sconfitta di Clinton.
La seconda ragione è proprio l’affiliazione sempre più stretta tra il partito Repubblicano guidato da Trump e i diversi gruppi religiosi cattolici, non solo gli evangelici. L’esito del voto cattolico, nelle elezioni del 2024, è stato da una parte atteso, dall’altra differente per consistenza se comparato alle altre tornate elettorali. Un fenomeno osservato e spiegato in questi ultimi mesi da analisti e accademici, tra questi Mark M. Gray, ricercatore associato alla Georgetown University di Washington, direttore del CARA Catholic Polls (CCP) e Ricercatore senior presso lo stesso CARA (Center for Applied Research in the Apostolate). Secondo Gray, Trump ha sostanzialmente catturato gli “swing voters” frequenti nell’elettorato cattolico, evidenziando quanto sia importante portare dalla propria parte questo elettorato, che ha avuto in passato e anche nel 2020 verso lo stesso Trump, un comportamento ondivago.
La Chiesa cattolica americana ha perseguito per diversi anni un’agenda trasversale alle divisioni e alle polarizzazioni crescenti nella società americana e nei due principali partiti politici. Tuttavia, questa agenda fonda la sua unità sul tradizionalismo morale, sull’impegno alla protezione della vita, intesa come sacra: per questo la Chiesa cattolica è notoriamente contro l’aborto, dunque più vicina ai Repubblicani. Una linea che posizionasse i cattolici unicamente vicini al GOP, almeno nel passato, non era così facile da tracciare: temi come la lotta alla povertà, alle disuguaglianze e l’accoglienza agli immigrati, erano nell’agenda dei cattolici e anche in quella del Partito Democratico. Ma la vicinanza a uno dei due partiti, Repubblicano e Democratico, è diventata netta nel 2022, in pieno mandato di Joe Biden, quando la Corte Suprema si è espressa sul caso Dobbs v Jackson Women’s Health Organization, cancellando il diritto costituzionale all’aborto sancito dalla sentenza Roe vs Wade del 1973 e dalla sentenza Planned Parenthood vs Casey del 1992; stabilendo inoltre che la regolamentazione dell’aborto spetta ai singoli Stati.
La decisione della Corte, presa a maggioranza (6 a 3), è stato l’obiettivo più importante raggiunto dalla Chiesa americana. La pronuncia ha visto schierati dalla stessa parte tre giudici conservatori nominati da Trump nella sua prima presidenza, assieme agli altri tre – sempre conservatori – nominati dagli ex presidenti Repubblicani G. H. W. Bush (senior) e G. W. Bush (junior). Il presidente della Corte, John Roberts, nominato da Bush figlio, pur avendo espresso parere concorde sulla decisione a maggioranza, si è dissociato dalla decisione della Corte di annullare completamente le sentenze precedenti, senza però che questo influisse sull’esito finale.
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L’opinione della Corte è stata redatta dal giudice cattolico Samuel Alito, conservatore nominato da G. W. Bush. Ed è importante considerare anche la confessione degli stessi giudici: sei cattolici, due protestanti e un ebreo. Un’analisi dell’istituto demoscopico Gallup ha in effetti evidenziato anche l’importanza dell’affiliazione religiosa dei giudici. Condotta tra il 2021 e il 2022, dopo che Joe Biden, all’epoca presidente, aveva nominato la giudice progressista Ketanji Brown Jackson (la seconda protestante tra i nove giudici) al posto di Stephen Breyer, ritiratosi e nominato dall’ex presidente Bill Clinton, l’indagine fa emergere che la quota di cattolici nella Corte Suprema arriva al 67%, una sovrarappresentazione rispetto al totale della popolazione che si identifica come cattolica negli Stati Uniti, circa il 22%.
Dalla sovra-rappresentazione al Messia
“Jesus is my savior, Trump is my President”. Se oggi si cerca sulle più comuni piattaforme di e-commerce, si trovano ancora magliette e cappellini con questa frase stampata, un brand nato ormai un anno fa. Lo scorso 13 luglio, in un comizio elettorale in Pennsylvania, il ventenne Thomas Matthew Crooks ha sparato con un fucile contro Trump, ferendolo all’orecchio: davanti alla folla, alle dirette social e alle tv, l’allora ex presidente, si è accasciato per poi rialzarsi al grido di “Fight! Fight!”. Una curva della storia della campagna elettorale che ha richiamato e alimentato riferimenti religiosi, oltre i gadget ancora in vendita: il leader salvato miracolosamente, le mani di Gesù sulle spalle di Donald Trump, come l’immagine postata su Instagram e sul social X da Lara Trump, nuora dell’attuale Presidente. Lo stesso Trump, la notte delle elezioni di novembre, con la vittoria ormai in tasca, dal palco del Convention Center in Florida, ha detto che la sua vita era stata risparmiata per una ragione: “riportare l’America alla grandezza” – insomma, l’apoteosi dello slogan MAGA.
Trump ha interpretato, in questi anni, una rivoluzione culturale e religiosa, prima che politica, e il cristianesimo americano ha trovato in lui la risposta alla sua agenda, fin dal 2016. Un balsamo galvanizzante che ha iniziato a scorrere tra le fila del GOP fin dal primo mandato di Trump e che, nel 2024 con l’attentato di luglio, ha fornito nuova linfa alla base cattolica e soprattutto evangelica. Memorabile il passaggio del pastore evangelico Franklin Graham, il più seguito negli Stati Uniti e che ha fatto campagna elettorale per Trump, che dopo l’attentato si è spinto a dire che il neo-presidente era stato scelto da Dio.
Ma soprattutto a ricordare allo stesso Trump, che ora con il secondo mandato, la ‘big win’ per i cristiani e per gli evangelici, consentirà di portare avanti quelle politiche pro-famiglia, anti-aborto, a favore degli insegnamenti cattolici nelle scuole e a sostegno delle organizzazioni religiose, che lo stesso Partito Repubblicano ha cercato di tenere vive prima ancora dell’arrivo di Trump ma con meno successo.
L’approccio quid pro quo
Joe Biden è stato il secondo presidente cattolico dopo J. F. Kennedy, ma il suo poco felice rapporto con la Conferenza episcopale americana, così come le politiche della sua amministrazione ‘pro-choice’, hanno impedito la costruzione di un legame forte con i cattolici americani. Donald Trump è cresciuto come un presbiteriano ma considera sè stesso un cristiano non legato ad alcuni dei gruppi religiosi diffusi negli Stati Uniti, come presbiteriani, battisti, metodisti e cattolici. Trump è quindi un ‘non-denominational’, a-confessionale. Questo non impedisce un’appartenenza fideistica profonda, anzi: c’è un’esaltazione della relazione personale con Gesù Cristo e di conseguenza una scarsa aderenza alla tradizione e alle specifiche interpretazioni della Bibbia. Lo si vede dagli uomini di cui si è circondato: J. D. Vance, convertito al cattolicesimo dai tratti molto tradizionalisti, che cancella tutti i progressi della società ma è al tempo stesso un iper-moderno, vicino al tecnocapitalismo.
Già nel 2020, Trump, in un’intervista mediata dall’evangelica Paula White-Cain, da lui nominata in questo secondo mandato consigliera per la fede della Casa Bianca – la prima volta per una nomina di questo tipo – si era definito non più presbiteriano. L’obiettivo era chiaro: coltivare un approccio “transattivo”, di scambio utilitaristico, verso tutta l’area cattolica.
Questa apparente giravolta di Trump ha portato con sé già alcune conseguenze: sul Partito Repubblicano, da sempre vicino al protestantesimo evangelico, ora il GOP abbraccia le priorità del cattolicesimo più radicale, andando oltre la lotta all’aborto. Sono diventate cruciali la promozione del matrimonio e l’avere figli, dare ai genitori un’ampia discrezionalità religiosa sugli insegnamenti a scuola, il taglio dell’accesso al Medicaid, così come il rafforzamento delle istituzioni non governative cattoliche, come il think tank ‘Conservative Partnership Institute’ e tutto il contorno di associazioni, fondazioni, realtà a trazione cattolica, insieme al supporto dei media maga e cattolici. Priorità e politiche della presidenza Trump che rafforzano la sua base e il suo consenso.
Il CPI, in particolare, è un incubatore delle politiche iper-cattoliche che Trump ha promesso di perseguire prima ancora di essere eletto e il cuore pulsante dei fedelissimi e donatori del Presidente. Fondato dall’ex senatore della Carolina del sud, Jim DeMint, l’influenza di realtà come queste è forte: attraverso di esse passa il primo e il secondo mandato di Trump; gli uomini e le donne che Trump ha licenziato e i nuovi membri dell’amministrazione, fino al suo “inner circle”; passano da qui le politiche di questa presidenza.
Nel febbraio 2024 il CPI si è riunito in Florida per la sua conferenza annuale, raccogliendo 150 tra attivisti e donatori, tra questi anche Mark Meadow, ex-capo gabinetto nel primo mandato, esiliato nella CPI dallo stesso Trump ma, secondo il New York Times, remunerato con 847mila dollari l’anno come senior partner dell’organizzazione. Una conferenza che è stata l’occasione per diffondere il manifesto delle politiche trumpiane. Come ha dichiarato Rachel Bovard a Politico, vice presidente dei programmi del CPI e presente alla conferenza: “c’è uno specifico paradigma cattolico che si può iniziare a vedere”. L’approccio quid pro quo – o transattivo – ha dato i suoi frutti.