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Lo strano scontro a tre Israele-USA-Iran: vincitori e vinti?

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Come valutare l’attacco di Israele e Stati Uniti contro l’Iran? Per rispondere alla domanda che pressappoco tutti si sono fatti negli ultimi giorni le maniere sono davvero molte, così come è ampia la scelta degli aspetti da mettere in evidenza: quello militare, quello politico, quello diplomatico, quello comunicativo. Cerchiamo invece di partire dagli obiettivi che i partecipanti si erano posti, in relazione allo svolgimento degli eventi.

 

Il conflitto è iniziato il 13 giugno con un bombardamento a sorpresa da parte di Israele, diretto contro obiettivi militari e nucleari, e contro alcuni scienziati e funzionari del governo iraniano. L’Iran ha risposto con il lancio di missili diretti contro il territorio israeliano, e gli attacchi reciproci si sono protratti per alcuni giorni. Il 22 giugno, gli Stati Uniti – che fino al momento si erano limitati a prestare assistenza difensiva e di intelligence a Israele – hanno attaccato direttamente anche loro, colpendo tre siti legati al programma nucleare di Teheran. Anche questo attacco missilistico è stato per certi versi a sorpresa, quantomeno nel senso che la Casa Bianca aveva annunciato una pausa di riflessione di alcuni giorni mentre venivano comunque approntati nella regione i necessari asset militari – gruppi portaerei, compresi i sottomarini, e aerei nella base di Diego Garcia nell’Oceano Indiano. Prima che giungesse la prevista scadenza, è partita l’operazione, denominata “Midnight Hammer“.

Gli impianti per l’arricchimento di uranio di Fordow e Natanz sono stati colpiti (secondo fonti USA) da 14 bombe a penetrazione sotterranea (considerate le più potenti di tipo convenzionale al mondo, e mai usate finora), lanciate da velivoli stealth Northrop B-2 Spirit. L’operazione è stata resa possibile dal controllo dei cieli ottenuto grazie ai bombardamenti israeliani dei giorni precedenti: gli aerei americani sono potuti così partire e tornare alla loro base in Missouri senza danni. Il centro tecnologico di Isfahan è stato invece preso di mira da missili Tomahawk lanciati da un sottomarino nel Mare Arabico, protetto dalla portaerei Nimitz arrivata per l’occasione dal Mar Cinese Meridionale.

Teheran ha risposto “attaccando” una base americana in Qatar: azione che merita le virgolette, perché l’Iran ha avvisato gli Stati Uniti prima di farlo, e perché l’emirato qatariota è il più filo iraniano di quelli del Golfo. La base colpita, infatti, era stata svuotata, e l’indomani Donald Trump ha potuto dichiarare “chiuso” il conflitto, interrompendo il riprendere dello scambio di missili tra Iran e Israele. Le vittime sono state circa mille da parte iraniana, e 28 in Israele.

L’obiettivo dell’attacco militare è sembrato dunque il programma nucleare iraniano. Dopo l’operazione americana, il presidente degli Stati Uniti ha dichiarato che i tre impianti colpiti erano stati “completamente distrutti” e “obliterati”. Eppure, un giudizio del genere è quasi impossibile da dare, almeno da parte di osservatori esterni – anche per mancanza di immagini. Valutazioni preliminari da parte delle stesse agenzie USA suggeriscono un successo molto più limitato, con un impatto negativo solo di pochi mesi. Anche perché l’Iran – già colpito, non va dimenticato, da bombardamenti israeliani nell’ottobre del 2024, e già ben consapevole dei piani israelo-americani contro i suoi impianti – aveva probabilmente già spostato tutto quello che poteva da quei siti, in altre località.

 

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E il programma nucleare iraniano: era bloccato, in pieno svolgimento, o perfino in fase di accelerazione? Anche in questo caso, difficile dare una valutazione corretta. Ci sono le fonti israeliane, che affermano che l’Iran fosse “a pochi mesi” dall’atomica. Ma lo affermano da trent’anni. C’è l’intelligence americana: la sua direttrice, Tulsi Gabbard, aveva assicurato in marzo in un’interrogazione al Congresso “che l’Iran non stava costruendo armi nucleari”. Ma dopo che Donald Trump aveva detto “non mi interessa ciò che dice”, si era rimangiata le sue dichiarazioni, e oggi assicura che l’Iran era “a poche settimane” dall’atomica, e che i bombardamenti americani hanno “completamente distrutto” Fodrow, Natanz e Isfahan.

Ma Stati Uniti e Iran non avevano ripreso i loro negoziati? Era stato proprio Trump a interromperli, nel 2017, rompendo l’accordo siglato da USA ed Europa con Teheran due anni prima, sotto Barack Obama. Sì, li avevano poi ripresi nell’aprile scorso, in chiave bilaterale: per il 15 giugno era anzi previsto il sesto incontro tra le parti. La Casa Bianca sembra ora considerare la guerra come uno spiacevole incidente di percorso, e si dice disponibile a continuare a trattare – ora che le posizioni iraniane si sono indebolite.

E’ opportuno chiedersi: quanto indebolite? Ardua sentenza. Il regime iraniano non è affatto crollato, come da alcuni era stato ventilato nei primi giorni dell’attacco israeliano, quando il premier israeliano Benjamin Netanyahu prometteva “la morte di Khamenei metterà fine al conflitto”, e Trump ribadiva “sappiamo esattamente dove si nasconde”. Ma la Guida Suprema è restata in vita, e gli ayatollah e i pasdaran hanno sostituito i funzionari uccisi dai missili israeliani. Non ci sono state tracce di ribellione a Teheran – anzi, vari dissidenti hanno testimoniato di come l’attacco subito abbia suscitato un riflesso di unità nazionale di cui il regime ha beneficiato.

A proposito di Netanyahu, se il programma nucleare iraniano non ha subito flessioni rilevanti, se il regime di Teheran non è caduto, l’attacco gli ha però portato un dividendo politico consistente. Il primo ministro è riuscito in un triplice intento: per prima cosa, riallineare l’Occidente al suo fianco, dopo le critiche sempre più gravi ricevute rispetto all’ininterrotta carneficina di Gaza. Poi, portare gli Stati Uniti in guerra al suo fianco: evento salutato come “storico” anche dal presidente di Israele, Isaac Herzog. Infine, di raccogliere preziosi consensi interni, in un momento di asprissime polemiche, accuse varie, nuove proteste e scossoni politici – ricordiamo che solo due giorni prima dell’attacco all’Iran, Netanyahu scampava una mozione di sfiducia alla Knesset di un solo voto (61/120): oggi, non se ne parla più.

Ma le buone notizie per Israele non sono molte altre. Da Tel Aviv hanno sottolineato con compiacimento come in pochi giorni l’IDF avesse raggiunto “il controllo totale dei cieli iraniani” – benché questa affermazione contraddicesse in pratica quella di un Iran visto come minaccia imminente e pericolosa. Però, nonostante il pieno successo dell’azione a sorpresa israeliana, che ha anche mostrato nuovamente una grande capacità di penetrazione dell’intelligence, l’Iran ha dimostrato in varie occasioni di saper perforare la celebre cupola difensiva israeliana “Iron Dome”, capacità che è rimasta “attiva” fino all’ultimo giorno del conflitto: dal punto di vista tattico insomma gli attacchi israeliani non hanno sostanzialmente danneggiato la potenza militare di Teheran, mentre hanno intaccato in maniera sensibile le costose difese antimissile israelo-americane. Per sua fortuna, il 25 giugno, il presidente americano ha incassato dai membri della NATO riuniti all’Aja l’impegno di aumentare fino al 5% dei prodotti interni lordi nazionali gli stanziamenti per la difesa e la sicurezza.

L’Iran ha ricevuto l’appoggio (ma solo diplomatico) di Russia e Cina, che hanno definito “illegale e ingiustificato” l’attacco condotto da Stati Uniti e Israele. Dal punto di vista strategico, non c’è dubbio che la mossa di Washington fosse intesa a dare una dimostrazione di forza. A Mosca e a Pechino: non dimentichiamo che la Cina si era molto spesa, per la distensione tra Iran e Arabia Saudita, ora tornata in alto mare, e che resta molto dipendente dal petrolio iraniano. Ma anche all’intero Medio Oriente: dopo il disastroso ritiro dall’Afghanistan nel 2021, ma anche dopo i fallimenti nel portare la pace in Ucraina o a Gaza. Soltanto una maggiore profondità temporale potrà dirci se le intenzioni di chi l’ha concretizzata coincideranno con l’andamento degli eventi.

 

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“Vittoria!”, hanno esclamato dopo l’annuncio del cessate il fuoco. Chi? Tutti e tre i protagonisti del conflitto. Il presidente iraniano ha parlato di “una sconfitta storica per Israele”, che “ha perso la sua immagine di invincibilità”. Il capo del governo israeliano si è felicitato di aver annientato le capacità nucleari iraniane. Donald Trump ha affermato di aver riportato la pace nella regione, dopo un danno “monumentale” inflitto al nemico.

Intanto, il 26 giugno, l’Iran ha annunciato la sospensione della sua collaborazione con l’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica.